Alla ricerca del Graal

La civiltà moderna appare nella storia come una vera e propria anomalia : fra tutte quelle che conosciamo essa è la sola che si sia sviluppata in un senso puramente materiale, la sola altresì che non si fondi su alcun principio d’ordine superiore.

Tale sviluppo materiale, che prosegue ormai da parecchi secoli e va accelerandosi sempre più, è stato accompagnato da un regresso intellettuale che esso è del tutto incapace di compensare.

Ecco come l’autore René Guénon definisce nel libro – Simboli della scienza sacra – la
decadenza della civiltà odierna.

Sembra che la società occidentale si sia distratta al punto di credere che non ci fosse qualcosa di più che se stessa, troppo assolta nel suo progresso ossessivo e materialistico.

Senza ricerca di senso cosa vale la vita? Eppure numerosi miti e fiabe ci hanno indicato che il senso esiste. I racconti si rivolgono all’anima e parlano di lei.

Non danno spiegazioni ma mostrano delle vie, aprono delle possibilità dove ogni ascoltatore o lettore potrà esercitare il proprio talento e la propria libertà nell’interpretazione.

Da tempi remoti, furono tanti i racconti che insegnavano la discesa dell’anima nel mondo fisico e il cammino da intraprendere.

Il Racconto del Graal è uno di questi.

Molto ricco di simbolismo, il misterioso Graal da più di mille anni ci parla, ci aiuta a conoscerci meglio e ci
svela parte dei segreti dell’esistenza.

È attraverso l’opera di Chrétien de Troyes, poeta e scrittore medievale (ca.1130-1190) che la leggenda di
Perceval (Parsifal) o il racconto del Graal ci ha raggiunto.

Ecco il riassunto:
Mentre Perceval a cavallo percorre la foresta in cerca di un posto per dormire, incontra vicino ad un fiume il Re – pescatore che l’ho invita al suo castello.

Nella difficile salita fino in cima ad una roccia, Perceval non vede altro che cielo e terra ma nessun castello.

Finalmente la torre e il castello appaiono, viene accolto dai valletti in una stanza quadrata illuminata da un grande fuoco e innumerevoli candele.

Il Re (già arrivato) si scusa di non poter alzarsi dal suo letto e gli offre una spada. A questo punto Perceval è testimone di un sorprendente spettacolo.

Da una camera esce un valletto: impugna una lancia di un bianco risplendente; attraversa la sala passando tra il fuoco e il letto del re.

Ci sono altri ospiti presenti e tutti vedono la lancia splendente, in punta una goccia di sangue vermiglione scorre sulla mano del valletto. In quel momento due altri valletti appaiono, portando candelabri di oro prezioso e decorati con smalto nero (…)

Una giovincella si avvicina, è bella, nobile e magnificamente adornata, tiene nelle mani un Graal, allora si sprigiona una tale luce che perfino le candele sembrano spente come le stelle e la luna all’alba.

Al suo seguito, un’altra fanciulla regge un piatto d’argento. Finalmente il corteo passa davanti al letto e si sposta in un’altra camera.

Poi una splendida cena viene servita durante la quale il corteo riappare ad ogni portata, ad ogni andirivieni il Graal è sempre presente. Perceval ignora cosa c’è nell’altra stanza.

Inutile dire che il cavaliere rimane fortemente sconvolto da tutta la scena, tuttavia egli tace sotto il
consiglio di suo mentor e non osa chiedere nulla sull’accaduto, né sulla malattia del re- pescatore, il sangue sulla lancia, il Graal, né tanto meno su chi si trova nell’altra stanza.

Dopo la cena, tutti si ritirano per dormire e all’alba giunta, Perceval chiama ma nessuno risponde, il castello è vuoto. Finalmente trova il suo cavallo già sellato e lascia il castello.

Più tardi nella foresta incontra una donna, Dama Ragnell (una vecchia orrenda trasformata in una giovane) che gli rivela che il re- pescatore era infermo, ferito da un giavellotto ricevuto nelle gambe, non poteva più cacciare, per quello pescava.

La finta giovincella gli rimprovera di non aver chiesto niente al re, avrebbe potuto salvarlo se soltanto avesse parlato e tutta la contea sarebbe stata liberata da tutti i flagelli (una maledizione).

Il cavaliere giura a se stesso di scoprire il segreto del misterioso Graal con completa
dedizione.

Per ben cinque anni, senza tregua nella sua ricerca, egli fallirà nel tentativo di ritrovare il castello,
dimenticando perfino di pregare Dio.

Un giorno finalmente incontra un eremita, uno suo zio, che gli rivela il senso della visione del corteo; il servizio del Graal, in verità, era destinato al padre del Re- pescatore, anche lui ammalato e mantenuto in vita con l’ostia contenuta nel Graal.

L’eremita aggiunge che il suo silenzio era dovuto al suo primo peccato, aver fatto morire sua madre di crepacuore quando scelse di partire con altri cavalieri alla corte del re Artù.

La storia di Perceval si interrompe qui, Chrétien de Troyes non terminò il romanzo.

In questa storia, l’autore è chiaramente ispirato da mitologie celtiche, non scrive mai Santo Graal e neanche fa nessuna analogia al sangue di Cristo come faranno altri autori che riprenderanno la sua storia sotto un angolo decisamente più cristiano.

Il poeta introduce qualche nozione religiose dell’epoca ma nell’insieme racconta un mistero mescolato alle leggende pagane.

NT: nel libro di C. de Troyes il Graal indica un piatto largo non una coppa.

Il Racconto del Graal si rivolge alla parte interiore di chi lo legge. Niente è come sembra, sotto il visibile
bisogna scoprire l’invisibile, togliere il guscio della mandorla per raggiungere il frutto, così si presenta il
cammino esoterico.

Dietro tutti i personaggi, animali, luoghi e oggetti si cela un senso che non appare evidente se non si fa lo sforzo di approfondire. Sarebbe davvero troppo lungo spiegare ogni simbolo ma proviamo almeno a cogliere i più importanti.

Al’inizio del racconto Perceval è nella foresta, essa rappresenta il mondo terreno dell’esperienza, pauroso e allo stesso tempo pieno di promesse. Il suo destriere evoca la forza che lo spinge a vivere l’esperienza, le sue pulsioni.

Perceval parte alla scoperta del mondo e lascia sua madre che lo supplica di restare ma niente, il destino di cavaliere della tavola rotonda sembra chiamarlo. La madre che nel racconto muore di crepacuore è la parte carnale di Perceval, il suo ego, egli è separato e inconscio da ogni dimensione trascendentale.

Quando sale in cima con fatica non vede né torre (discernimento)né castello (conoscenza), è una cecità
interiore. Non capisce più di quello che si offre ai suoi occhi. Il nostro eroe viene accolto in una sala quadrata, simbolo della realtà fisica del mondo, la base per costruire.

È il mondo come ce lo raffiguriamo ma che bisogna osservare con occhi agguerriti.

I due re ammalati sono le vite trascorse, il cammino dell’anima che zoppica, fatte d’esperienze ancora
incomplete. Il re- pescatore che non può più cacciare è la saggezza amputata perché nel simbolismo il
cacciatore è un pellegrino alla ricerca dell’ultima Verità.

L’anima è sprofondata nell’oblio di una vita ultra-terrena, eppure niente è perduto, tanti indizi
sopraggiungono in aiuto. A cominciare con il re pescatore, i pesci nel mondo celtico, sono una ricchezza,
intendiamo un nutrimento spirituale a disposizione. Tutti gli uomini sono equipaggiati per percepire i
segnali dell’invisibile e attivare il loro intuito.

La visione alla quale assiste Perceval gli svela la strada da seguire. La spada a lui offerta, è il simbolo della verità.

Bisogna trasformarsi, cambiare. La presenza dei colori indica il passaggio della materialità alla
spiritualità. Passare dal nero (decorazioni dei candelabri) che nella tradizione alchimista significa la
dissoluzione della materia, il bianco (il graal che risplende) per fare entrare la luce divina ovvero la
consapevolezza dell’esistenza di un mondo superiore e infine il rosso, colore che segna l’integrazione totale del nero e del bianco, l’amore assoluto, dono di sé. Il dono di sé non è da intendere come sacrificio ma come elevazione.

Amare senza sentire la necessità di ricambio, l’amore spirituale non è sentimentale né relazionale, in altri termini è la capacità di vedere il bello nel manifestato.

Cinque anni passano a vagare in cerca del castello (la conoscenza) invano. Il numero cinque corrisponde
all’elemento etere, ci propulsa verso la ricerca e serve come ponte verso altri mondi.

Ah povera anima che fatica! La dama orrenda è la sua sofferenza, i suoi rimpianti.

Tutte le cose che facciamo o non facciamo che ci perseguitano nella vita, tuttavia solo così possiamo crescere ed elevarci, ristabilendo gli equilibri per proseguire.

Il cuore dei racconti è lontano dalle interpretazioni psicologiche e del loro uso in psicoterapia o psicanalisi. La vita dell’anima rileva della metafisica e della mistica, si guardano bene di sondare la psiche che concerne unicamente il mondo terrestre.

I racconti sono dei messaggeri, dei mediatori instancabili, restaurano i fili che legano la Terra al Cielo.

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