Inizio questo articolo con un breve verso di una canzone che mi piace molto: “Metà del mondo lotta con la fame, la mia metà si nutre di aspartame” (Jovanotti, “Nel mio tempo”).

Mai come in questi ultimi decenni il nostro rapporto con il cibo è diventato così caotico; vivendo nella metà del mondo che ne ha in eccedenza a tal punto da sprecarlo, posso testimoniare che questa abbondanza senza interruzioni presenta un’altra faccia della medaglia poco allegra: patologie legate al sovrappeso e disordini alimentari già nella pre-adolescenza.

È come se noi esseri umani dovessimo sempre complicarci la vita; invece di godere del benessere acquisito (non disquisisco ora su fatto di come esso sia distribuito all’interno del pianeta), rendiamo tutto, perfino il cibo, un motivo di stress e un nemico da combattere.

In realtà il cibo non è nostro nemico; è il nostro sostentamento, assieme all’acqua, per il nostro corpo fisico, quello più “pesante” e anche l’unico che riusciamo a percepire con la nostra vista.

È il nostro atteggiamento verso il cibo che ci crea dei disturbi.

Nella Mindful Eating viene data molta importanza alle sensazioni fisiche legate all’atto del mangiare. L’auto-ascolto è di primaria importanza. Diventare maggiormente consapevoli di noi stessi è la chiave di svolta nel nostro modo di approcciarci al cibo.

Sappiamo davvero riconoscere le emozioni che ci spingono a mangiare? Sappiamo dare un nome preciso a quello che proviamo dentro di noi e che ci spinge a mangiare? È fame cellulare? È fame dello stomaco? È fame della mente? È fame del cuore?

Quando riconosciamo che la nostra fame è emotiva, sappiamo davvero con precisione quale emozione l’ha scatenata? E quando l’abbiamo appagata, quali altre emozioni porta con sé, dopo il pasto? Ad esempio, una giornata triste potrebbe farci mangiare del gelato e poi potremmo passare dalla tristezza al senso di colpa per aver mangiato un cibo carico di zuccheri raffinati.

È proprio in situazioni come questa che il nostro atteggiamento ci fa vivere il cibo come un nemico. Ma il cibo è un nemico o è semplicemente uno strumento neutro che da prezioso alleato della salute noi facciamo diventare fonte di preoccupazione?

Risanare il rapporto che abbiamo con il cibo non è semplice.

Proprio perché ne abbiamo in abbondanza e in infinite varianti, è diventato molto di più che un mezzo di sostentamento fisico e un piacere per il palato. Al cibo abbiamo cominciato a collegare una gamma di emozioni e sentimenti che in altre zone del mondo sono sconosciute (in relazione al cibarsi, appunto); ci spingono verso il cibo il senso di inadeguatezza, la tristezza, il desiderio di uniformarsi a dei modelli estetici, ma di contro anche l’euforia per un traguardo, il volerci premiare per qualcosa che abbiamo realizzato.

Il cibo legato alle grandi occasioni, che una volta capitavano raramente nel corso di un anno, ora noi lo possiamo avere a portata di mano tutti i giorni e possiamo premiarci in continuazione con qualsiasi scusa. Questo potrebbe farci pensare che abbiamo un buon rapporto con il cibo ma in realtà non è così perché emotivamente abbiamo imparato a dargli troppa importanza.

La Mindful Eating può essere di grande aiuto in questo senso perché ci invita ad osservarci e a riappropriarci delle nostre sensazioni ed emozioni.

Nel momento in cui accresciamo la consapevolezza di noi stessi possiamo riconoscerci e vederci (per la prima volta!) come non ci eravamo mai visti prima. Questo processo, che non è immediato ma graduale, può migliorare sensibilmente il nostro rapporto con il cibo e farlo tornare ad essere semplicemente quello che è sempre stato: energia di benessere per le nostre cellule. 

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